Oggi parliamo di piadina, o piè, o pida, o pièda a seconda del dialetto, la schiacciata sottile di pane azzimo cotta sul "testo" tanto famosa qui in Romagna.
Giovanni Pascoli nei "Nuovi Poemetti" definì questo cibo "àzimo santo e povero dei mesti agricoltori, il pane del passaggio tu sei, che s'accompagna all'erbe agresti".
Aldo Spallicci, uno dei nostri maggiori poeti in vernacolo, ci insegna come si confeziona questo cibo: "Un chilo di farina non troppo setacciata, e quindi non molto fine, un pizzico di bicarbonato di sodio (cinque grammi in tutto), mezzo chilogrammo di strutto e sale quanto basta. si aggiunge acqua calda per fare un impasto che vuol essere piuttosto consistente. Si distende poi col matterello sulla spianatoia sino a farne una bella luna rotonda e sottile e la si pone sul testo di terracotta".
"Durante la rosolatura, mentre affiorano le bollicine sulla pasta, si volta e si rivolta più volte la rotonda focaccia e s'imprimono qua e là le impronte della forchetta, che rimangono come ornamento screziato della piada. E, quando l'odore del pane empie la casa, si toglie ancora ardente dal testo, si taglia a croce e le quattro quadre si allineano in piedi sopra il mantile disteso sulla cornice della spianatoia"
"Mezzo bruciacchiata e ancora calda, essa è un buon boccone, se c'è un formaggio fresco e burroso che faccia da companatico. Fra due quadre si strizza lo squaquerone, che fugge ai margini, come una bianca spuma".
Alla piada, Aldo Spallicci dedicò una canta, musicata da Francesco Balilla Pratella, il cui ritornello, del povero soldato al fronte che riceve da casa un involto con la piè, dice:
"Oh dio, la piè! Udor da cà Che riva iquà. E e' sent chi ch'magna Eria 'd Rumagna. Oh dio, la piè!"
"La piè" è il nome della rivista di studi e folklore romagnolo, fondata e diretta, fino alla morte, dallo stesso Spallicci.
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