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...E DAPPERTUTTO SEPOLCRI

In un tempo non troppo lontano, in cui non esistevano viaggi organizzati, tour operator, crociere, né Erasmus, i giovani europei di buona famiglia avevano un solo modo per conoscere il mondo: partire per il Grand Tour. Concepito come una specie di anno sabbatico, il Grand Tour svolgeva la funzione di rito di passaggio dalla giovinezza al mondo adulto: rampolli di famiglie nobili, artisti o scrittori andavano alla scoperta della cultura europea, attraverso le opere d’arte dei secoli passati, passeggiando tra le romantiche rovine di una storia millenaria. La meta finale del viaggio era solitamente l’Italia, con le sue innumerevoli testimonianze di civiltà passate, i dipinti, gli affreschi e le opere architettoniche. Tappe obbligatorie erano Venezia, Roma e Firenze, ma c’era chi si spingeva fino a Napoli, alla scoperta delle rovine di Pompei o ancora più a sud.


Anche Ravenna, pur non essendo una meta classica del Gran Tour, ebbe tra Ottocento e Novecento ospiti e visitatori illustri. Tra loro, spicca la carismatica figura di Aleksandr Blok.

Nato a San Pietroburgo nel 1880, il poeta russo Aleksandr Blok percorse l'Italia insieme alla moglie Ljuba nel 1909: un anno difficile per la Russia, ancora sconvolta dalla rivolta del 1905 soffocata nel sangue. Echi di quella tempestosa situazione si odono anche nelle pagine - in prosa e in versi - che Blok dedicò al nostro paese. Blok e Ljuba visitano buona parte delle più belle città del centro e nord Italia: da Venezia a Firenze, da Ravenna a Perugia, da Milano ad Assisi, in un "grand tour" frenetico, che a tratti assume quasi l'aspetto di un "tour de force": ma la sensibilità e gli occhi del poeta sono sempre attentissimi, scrupolosi nel decifrare i dettagli di ciò che vede e in particolare nel seguire le tracce di un passato di bellezza tanto storico quanto ideale, nel quale trovare un agognato rifugio. Ma l'Italia di Blok è anche un paese tragico, proprio "per il fruscio sotterraneo della storia, assordante e irreversibile"; anche se - aggiunge il poeta - "la gran parte di queste cupe impressioni dipende da me: neppure il sole italiano potrà mai dissipare gli incubi russi".


Così descrive Ravenna, in una lettera alla madre datata 13 maggio 1909:

A Ravenna siamo stati due giorni. E' profonda provincia, assai più profonda di Venezia. La piccola città dorme duramente, e dappertutto, chiese e immagini dei primi secoli del Cristianesimo. Ravenna ha conservato, meglio di tutte le altre città, l'arte primitiva, il passaggio da Roma a Bisanzio. E sono molto contento che Brjusov ci abbia mandati qui; abbiamo visto la tomba di Dante, gli antichi sarcofaghi, mosaici sorprendenti, il palazzo di Teodorico. Nei campi oltre Ravenna, tra le rose e i glicini, è la tomba di Teodorico. Dall'altra parte, una chiesa antichissima, nella quale, in nostra presenza, hanno dissotterrato un pavimento di mosaico dei secoli IV-VI. Umido; c'è lo stesso odore che nelle gallerie della ferrovia, e dappertutto sepolcri. Uno, io l'ho trovato sotto l'altare, in un oscuro sotterraneo di pietra, dove, sul pavimento, c'e' l'acqua. La luce di una finestrina cade su di esso; vi sono sopra delle lastre di pietra di color lilla tenero, e una muffa di un verde tenero. E intorno un silenzio terribile.




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