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gli altari nei mosaici ravennati

Oggi parliamo di uno dei principali protagonisti degli edifici di culto, mete ricorrenti e potremmo dire imprescindibili delle nostre visite guidate, perché impareggiabili scrigni di tesori d’arte: l’altare.

Molto spesso trascurato, dal momento che la nostra attenzione va a focalizzarsi principalmente sulle pareti della chiesa, l’altare nel culto cristiano simboleggia i due ruoli di Cristo, al contempo vittima e sacerdote, e in tal senso ha la duplice valenza di ara sacrificale e di mensa dei pani necessaria per lo svolgimento della liturgia (da cui poi il termine “messa”, in quanto celebrazione del sacrificio di Cristo attraverso il pane e il vino). A partire dall’editto di Milano (313 d.C) che sancì la libertà di culto anche per i cristiani, vennero elaborate diverse tipologie di altare, di cui le più diffuse furono: a mensa una lastra sorretta da stipiti (a richiamare la mensa dei pani) a cassa una lastra sostenuta a sua volta da altre quattro, andando a creare quindi una struttura a parallelepipedo e cava (ne troviamo un esempio nel presbiterio di San Vitale, che seppure rimaneggiato, presenta lastre datate al VI sec.) a cippo un unico blocco scolpito e talvolta scavato per lasciare spazio alle reliquie (esemplare che rientra in questa tipologia è quello presente nella navata della Basilica di Sant’Apollinare in Classe, di cui però solo cippo e mensa sono pertinenti alla struttura originaria datata al VI sec.).

Purtroppo gli altari paleocristiani giunti fino a noi nella loro facies originaria sono pochissimi, complici la deperibilità del materiali (i primissimi esemplari erano infatti in legno) e gli svariati rimaneggiamenti che hanno visto modificare il senso e la funzionalità dell’arredo sacro a seguito dei concili Tridentino e Vaticano II. A venirci in aiuto sono però le rappresentazioni musive presenti a Ravenna, che in particolare ci forniscono un’idea di come dovesse essere strutturato l’altare più diffuso nei primi secoli del culto cristiano, e cioè quello a mensa. Ecco dunque che nel registro musivo cosiddetto dell’etimasia, nella cupola del Battistero Neoniano, troviamo la più antica testimonianza pervenutaci di tale tipologia di altare (metà V sec.), che si ripete per ben quattro volte a richiamare i quattro evangelisti, i cui libri sono appoggiati sulle rispettive mense. Dello stesso tipo è anche l’altare protagonista della scena dell’Ultima Cena in Sant’Apollinare Nuovo. Qui la mensa è coperta da una tovaglia bianca munita di frange e gammadie purpuree sulla quale sono poggiati pani e pesci. Ben due esempi sono presenti nelle lunette presbiteriali in San Vitale: nella scena dell’ospitalità di Abramo, e in quella del sacrificio di Abele e Melchisedec. In quest’ultima ricorrenza in particolare, ritroviamo una tovaglia bianca con frange dorate e al centro una stella ad otto punte. Del tutto simile (anche per l’arredo liturgico) e ultimo per datazione (anni 70 del VII sec.), è infine l’altare presente nel mosaico raffigurante i sacrifici di Abele, Melchisedec e Abramo presente in Sant’Apollinare in Classe. Ancora una volta i mosaici ravennati, oltre ad abbagliarci con lo splendore delle tessere, dimostrano dunque di essere una straordinaria fonte iconografica e storica. Affidarvi alla professionalità di una guida turistica è certamente uno dei modi migliori per ottimizzarne la comprensione.

Fra le fonti bibliografiche si segnala in particolare il testo di Letizia Sotira “Gli altari nella scultura e nei mosaici di Ravenna (V - VIII sec.)”

Photo credits: Franco Cosimo Panini Editore





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