Il culto dei morti, celebrato in questi giorni, ha origini molto antiche ed è parte di tutte le culture.
I Romani ritenevano che le necropoli, le città dei morti, dovessero trovarsi fuori dalle città abitate, come indicato nelle leggi delle XII tavole, contenenti regole di diritto pubblico e privato, le quali stabilivano che i luoghi di deposizione dei defunti fossero collocati fuori dai centri urbani.
A Ravenna per le sepolture si utilizzarono le aree a ridosso della linea di costa, costituite da dune che dividevano il mare dalle lagune interne, collegate fra loro da vie di comunicazione.
Le tombe erano caratterizzate da elementi di riconoscimento, che cambiavano a seconda della classe sociale di appartenenza del defunto: anfore infisse nel terreno, stele, monumenti più o meno grandi.
Il Museo Classis Ravenna, che racconta la storia della città e del territorio dall’epoca etrusco-umbra all’anno Mille, presenta numerosi esempi di sepolture.
In età imperiale Classe era ancora un’area rurale collocata a sud di Ravenna; stava aumentando la sua importanza, come dimostrato dalla grande quantità di tombe rinvenute, segno della presenza umana in questa zona. All’interno dei sepolcreti di questo periodo sono stati rinvenute numerose urne cinerarie, sia in vetro che in ceramica. Questi contenitori ospitavano le ceneri dei defunti, testimonianza della grande diffusione del rituale dell’incinerazione (il corpo veniva bruciato sopra una catasta di legna ed i resti raccolti negli appositi contenitori). Insieme alle urne veniva sotterrato un corredo, che poteva cambiare a seconda del sesso e della classe sociale del defunto e che aveva una funzione di comunicazione sociale e simbolica al tempo stesso: facevano parte di questi corredi balsamari in vetro, lucerne in terracotta, oggetti di uso personale come spilloni per capelli, anelli in ambra e gioielli. I corredi potevano contenere anche monete in bronzo, definite “l’obolo di Caronte”, dal nome del traghettatore che trasportava le anime attraverso il fiume Acheronte, che divide il mondo dei vivi da quello dei morti.
Testimonianza dei defunti era data anche dalle stele funerarie, segnacoli in pietra posti sulle tombe con iscrizioni e decorazioni che servivano a ricordare la persona sepolta attraverso il nome, l’attività che svolgeva in vita, l’età, la provenienza.
Tra i reperti esposti in Museo è presente la stele in marmo di Moniatus Capito, rappresentato in armi e abiti militari, che prestava servizio sulla Aurata, una liburna della flotta, nella prima età imperiale. Questa e altre stele testimoniano che spesso i marinai della flotta, i classiarii, mettevano radici in città e vi restavano ad abitare con le loro famiglie.
Per approfondire gli aspetti legati a questo tema e, più in generale, conoscere la storia di Ravenna e di Classe vi invitiamo a visitare la nostra città insieme a noi!
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